Una delle vette produttive e quantitative della tradizione vinicola italiana: tutto questo è il Veneto, da molti anni. Tuttavia, sarebbe un errore non considerarne anche i picchi qualitativi. Per esempio, l’Amarone della Valpolicella oggi meritatamente Docg: a tedeschi, americani e, perché no, italiani, questo nome provoca più d’un fremito.
Questo rosso, prodotto per appassimento delle classiche uve veronesi Corvina, Corvinone e Rondinella, ha il suo teatro ideale non solo nella zona classica della Valpolicella, ma anche nelle vicine Valpantena e Val d’Illasi.
Del pantheon dell’Amarene fanno certamente parte bottiglie che sono territorio di caccia di grandi ristoranti ed enoteche di pregio, coi loro prezzi che le rendono quasi esclusiva preda di persone facoltose o di finissimi intenditori alla ricerca della ‘bottiglia da fine del mondo’.
Ciononostante, col tempo la denominazione si é arricchita di nomi che producono etichette più abbordabili, vendute anche nel circuito della grande distribuzione e capaci di offrire all’appassionato le sensazioni più tipiche di questo vino, senza costringerlo ad accendere un mutuo.
Sempre nei dintorni di Verona, l’altro nome da cui non si può scappare è quello del Soave. L’espressione più illustre del vitigno garganega, al quale può comunque essere aggiunto il più tradizionale Chardonnay, il Pinot bianco o il Trebbiano di Soave, ma senza mai superare un certo limite, è uno dei simboli del vino bianco veneto. Diversamente dall’Amarone, il panorama di prezzi e offerta è certamente più calibrato sulle capacità d’acquisto del consumatore medio, e difatti in grande distribuzione il Soave si vede (e vende) da sempre, con immutato successo. L’evoluzione del lavoro di certe
cantine, comunque, ha portato a un innalzamento del livello qualitativo quasi ovunque, e tale per cui comprare un Soave al supermercato, oggi, non è certo una scelta di ripiego. Però il Veneto degli ultimi anni è soprattutto quello del Prosecco e di tutti i suoi cugini. Il vino da uva glera oggi furoreggia soprattutto nella versione spumante: può essere il Conegliano-Valdobbiadene Docg, l’Asolo Docg (la denominazione più piccola), oppure il Prosecco Doc, che viene prodotto in un’area che arriva a comprendere anche parte del Friulì, e che contempla la tipologia Rosé, introdotta l’anno scorso, molto discussa,
ma rivelatasi un indubbio successo commerciale. Del resto, tutte le denominazioni del Prosecco, malgrado la crisi Covid, hanno dimostrato di essere in ottimo stato di salute sotto questo aspetto. Per cambiare completamente genere e zona, si può andare a sud di Vicenza, sui cosiddetti ‘Monti Berici’, che ospitano la Doc Colli Berici: in essa, la parte del leone è recitata da uvaggi rossi a base di cabernet franc, cabernet sauvignon e merlot, che vedono la tradizionale carica erbacea (quasi `firma’ dei Cabernet veneti) domata e resa docile da produttori abili e aperti al gusto moderno.